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Un referendum di Volt Italia sul matrimonio egualitario: parliamone

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di Effegi

Si torna a parlare – e con toni accesi – di matrimonio egualitario in Italia. Dopo anni di silenzio istituzionale sul tema, una proposta referendaria lanciata dal partito Volt Italia riaccende il dibattito pubblico e divide la comunità LGBTQIA+ su strategie e scenari futuri. Il quesito referendario mira ad abrogare alcuni commi della legge Cirinnà (n. 76/2016), quella che nel 2016 introdusse le unioni civili per le coppie dello stesso sesso, ma che al contempo ha cristallizzato una differenza giuridica e simbolica rispetto al matrimonio.

Volt non propone di introdurre direttamente il matrimonio egualitario – cosa che richiederebbe una modifica del codice civile – ma tenta di intervenire per via indiretta, togliendo dal testo di legge quelle differenziazioni esplicite che separano le unioni civili dal matrimonio. Tra queste, il riferimento all’obbligo di fedeltà, l’esclusione dell’adozione e l’impossibilità di celebrare l’unione con formula nuziale. La speranza, per i promotori, è che l’eliminazione di tali elementi possa avvicinare le due forme di riconoscimento fino quasi a sovrapporle, spingendo in avanti il discorso sui diritti.

Ma il referendum ha sollevato non poche perplessità. Se da un lato vi è chi lo considera un’occasione utile per riaprire il confronto sull’uguaglianza, dall’altro molte voci – sia nella società civile che nel mondo giuridico – avvertono il rischio di un effetto boomerang. In particolare, la comunità LGBTQIA+ appare spaccata: alcuni vedono in questa iniziativa un passo necessario in una battaglia che si trascina da decenni; altri, invece, temono che un simile approccio “per sottrazione” possa irrigidire ulteriormente la situazione, rafforzando la legittimità delle unioni civili come forma separata e, in definitiva, subordinata.

Una delle prese di posizione più significative è quella di Rete Lenford – l’Avvocatura per i diritti LGBTI+ – che ha pubblicato una nota tecnica fortemente critica nei confronti dell’iniziativa. Secondo Rete Lenford, il quesito referendario, pur dichiarando di voler ridurre le differenze, non modifica il quadro complessivo: non apre al matrimonio egualitario, non tocca il codice civile, e lascia intatta la struttura discriminatoria che separa le coppie in base al genere dei coniugi. Anche in caso di vittoria, le coppie dello stesso sesso continuerebbero ad accedere solo all’unione civile, seppur con qualche diritto in più. Un’operazione che, secondo l’associazione, rischia di rafforzare la logica delle “separate ma quasi uguali”, spostando l’attenzione dalle reali necessità di una piena equiparazione giuridica.

Il punto centrale della critica è dunque strategico e simbolico: si teme che un “successo” di questo referendum possa esaurire lo slancio verso il matrimonio egualitario, cristallizzando per un’altra generazione un’idea di cittadinanza ridotta, di amore legittimato solo a metà. La legge Cirinnà – salutata nel 2016 come un passo storico – è già il risultato di un compromesso, in cui il legislatore ha scelto di non chiamare “matrimonio” l’unione tra persone dello stesso sesso, né di garantire loro piena uguaglianza. Secondo Rete Lenford, agire su quei compromessi senza un disegno complessivo di riforma rischia di consolidare la disuguaglianza anziché combatterla.

La domanda che oggi circola nei circoli LGBTQIA+, nelle aule giuridiche e nelle chat tra attivistə è quindi una: vale la pena tentare una via imperfetta, o serve uno slancio più netto, più politico e meno tecnico? Il rischio – come in passato – è che si chieda agli emarginati di accontentarsi di qualcosa che “somiglia” all’uguaglianza, ma non lo è fino in fondo. E, in un paese dove i diritti sono spesso il frutto di battaglie epocali, ogni passo va pesato con cura. Lo strumento del referendum, potente ma incerto, può essere occasione o trappola.

Per questo, forse, più che un sì o un no, serve una riflessione collettiva sul tipo di futuro che vogliamo scrivere. Non solo per le coppie arcobaleno, ma per il concetto stesso di cittadinanza.

 

 

(21 maggio 2025)

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