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Autonomia differenziata: ancora troppo poco

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di Matteo Marra

Comunemente si pensa che l’Italia e la Germania siano due Paesi estremamente diversi; in realtà, il popolo italiano ha molto in comune col popolo tedesco. L’Italia e la Germania sono state divise in staterelli per secoli; hanno raggiunto la loro unità nazionale negli stessi anni, rispettivamente, nel 1861 e nel 1871; si sono lanciate nel totalitarismo di Mussolini e di Hitler e, poi, hanno deciso di suicidarsi sotto i bombardamenti americani nella Seconda guerra mondiale.

Oggi, c’è una cosa in particolare che accomuna noi italiani ai tedeschi: il divario tra Est ed Ovest. La Germania meridionale e settentrionale è molto più ricca e molto più sviluppata della Germania orientale. Questo divario è dovuto al fatto che il Paese è stato diviso in due: la Repubblica federale tedesca in Occidente, e la Repubblica democratica tedesca, in Oriente. La Repubblica federale faceva parte dell’area di influenza americana, mentre la Repubblica democratica si ritrovò sotto l’influenza sovietica. Ciò volle dire che l’Ovest aveva un regime liberal-democratico ed un’economia di mercato e l’Est, al contrario, soffriva sotto la dittatura del proletariato, un regime socialista, di stampo sovietico, guidato dal partito unico, la Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, che in italiano suona così: “Partito Socialista Unificato di Germania”.

La separazione della Germania nelle due Germanie andò avanti fino al 1989, quando la popolazione di Berlino Est, stanca di vivere sotto il socialismo e desiderosa di rivedere i propri amici, parenti, genitori, figli, sorelle o fratelli, decise di abbattere il Muro di Berlino, che, per il regime orientale, che l’aveva fatto costruire, ufficialmente, si chiamava: “Antifaschistischer Schutzwall”, cioè “muro di protezione antifascista”. Il nome vuol dire molto, ma quella è un’altra storia. Oggi, la Germania unita è una Repubblica federale, che si compone di sedici Stati federati. Il divario tra Ovest ed Est esiste ancora, ovviamente, bisogna rimediare a mezzo secolo di economia socialista fallimentare, ma nessuno dà la colpa al fatto che ci siano Stati federati più ricchi e che trattengono quello che producono entro i proprî confini. La cause del divario sono da ricercare nella divisione in due imposta al Paese al termine della Seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, in primo luogo, da Stati Uniti e Unione Sovietica.

In Italia, invece, il divario è tra Nord e Sud. Un divario che, però, esiste da ben prima che si creassero le Regioni e, quindi, sicuramente non è colpa della regionalizzazione del nostro Paese, avvenuta negli anni Settanta del Novecento. Già durante i primi anni del Regno d’Italia ci furono coloro che posero la “questione meridionale”. Il Regno d’Italia era uno Stato unitario e tutte le decisioni venivano prese a Roma, dal Governo del re, che non riuscì, nonostante l’assenza delle Regioni, a porre rimedio alla “questione meridionale”. Il fascismo non fece molto per ridurre il divario, anzi, con le sue politiche di accentramento, peggiorò le cose.

Nel 1946, fu proclamata, dopo uno dei momenti più gloriosi nella nostra storia nazionale quale fu il referendum istituzionale del 2 giugno, la Repubblica. Ora, la Costituzione è del 1948. Nello stesso anno, furono create già delle Regioni a statuto speciale: la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige/Südtirol. Il Friuli-Venezia Giulia fu, invece, creato nel 1963. Tra queste cinque Regioni, lo Statuto della Regione Siciliana è l’unico che consenta ad una Regione italiana di trattenere, entro il proprio territorio, praticamente tutte le entrate tributarie, con la sola esclusione delle imposte di produzione e delle entrate dei tabacchi e del lotto, secondo l’art. 36, comma secondo, dello Statuto siciliano. Inoltre, l’art. 38 stabilisce che lo Stato versa annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione dei lavori pubblici. Tale somma è rivista ogni cinque anni.

Questo per dire che la Sicilia gode di un’autonomia piucchespeciale ed è colpa del governo siciliano e dei suoi deputati (ebbene sì, i membri dell’Assemblea regionale siciliana si chiamano “deputati” e fino al 2014 percepivano un’indennità di undicimila euro mensili, il doppio di un consigliere regionale piemontese) se la Sicilia è rimasta indietro dopo ben 76 anni di autonomia speciale con cospicui e continui trasferimenti di denaro da Roma. Ora, per decenni ogni nostro capriccio è stato trasformato in un diritto. Ma ci sarebbero anche dei doveri, come quello di contribuire, secondo l’art. 53 della Costituzione italiana, alle spese pubbliche. Non vedo per quale motivo si debba rinunciare completamente al progetto di una maggiore autonomia delle Regioni, in generale, solo perché ci sono alcune che non avrebbero, grazie all’autonomia differenziata, le risorse per continuare a finanziare un sistema clientelare, soprattutto se a schierarsi contro l’autonomia differenziata sono i governatori di alcune Regioni, che non hanno mai veramente contribuito alle spese della comunità nazionale e sono, da sempre, in cima alla classifica dell’evasione fiscale. Ora, se si vuole la sanità pubblica, servono i soldi per pagarla.

L’autonomia differenziata consente a chi paga le tasse e le imposte di godere dei servizi per cui è soggetto ad uno dei prelievi fiscali più onerosi del mondo quale quello italiano.

Il Piemonte perde annualmente undici miliardi di euro, che dovrebbero corrispondere al quaranta per cento dei tributi pagati dai cittadini piemontesi. Ogni dieci euro pagati da un piemontese, quattro spariscono a mantenere i famosissimi sprechi del Mezzogiorno, e non prendiamoci in giro, tutti ci ricordiamo di quella Banche per le mazzette che fu la Cassa del Mezzogiorno. Certamente, oggi la Cassa non esiste più, ma gli sprechi non spariscono dal giorno alla notte. Ora, la colpa non è tutta dei cittadini meridionali, sia chiaro, hanno le loro responsabilità e su questo non c’è alcun’ombra di dubbio. La colpa è di una classe politica indecente che ha basato la propria formula politica sul voto di scambio: qualsiasi sentimento popolare è stato trasformato in un “diritto”, anche in assenza di risorse per mantenere questi nuovi “diritti”, che costano. Non si può continuare a pensare che la nostra comunità nazionale possa reggere con un Nord che produce ed un Sud vittimistico che consuma e spreca.

Un altro argomento contro l’autonomia differenziata è che le aziende dovranno, poi, aver a che fare con una ventina di legislazioni diverse. In primo luogo, è già così. In secondo luogo, i Paesi economicamente più sviluppati e più ricchi sono tutti federali e ciò è dovuto a diverse ragioni: vi è competizione tra gli Stati federati per attirare investimenti stranieri e gli Stati federati guardano ognuno all’altro copiando ciò che funziona meglio, accelerando, così facendo, lo sviluppo nazionale. Forse mi ripeto, ma l’autonomia differenziata è ancora troppo poco e mi ricollego al discorso iniziale, dovremmo seguire l’esempio tedesco e federalizzarci; solo così avremo abbastanza risorse per mantenere quell’apparato costosissimo di “diritti”, come la sanità pubblica, l’istruzione e via dicendo.

 

 

(25 luglio 2024)

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