di Matteo Marra
La corruzione, la povertà, la fame, l’assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani, la disoccupazione e l’inflazione hanno portato alla nascita di un forte risentimento verso governi spesso non eletti da nessuno. Tra il 2010 ed il 2012 il mondo arabo è stato politicamente travolto da una serie di proteste che hanno portato in Paesi diversi a diversi risultati, tra cui l’uccisione violenta del capo di Stato, il cambiamento del primo ministro o anche a guerre civili. Questo periodo prende nome di “primavera araba”, che è costata 140.000 morti.
I regimi autoritari non sono spariti e la stagione della “primavera araba” ha lasciato posto, nel 2014, “all’inverno arabo”, che può considerarsi la reazione delle autocrazie alle proteste popolari. Questo scontro ha visto la proliferazione di gruppi terroristi ha dato inizio a varie guerre civili, tra cui quella in Siria, in Iraq, in Libia ed in Yemen. La guerra civile, iniziata il 16 settembre del 2014, in Yemen è quella che ci interessa adesso perché uno degli schieramenti coinvolti sta minacciando il commercio internazionale e la stabilità mondiale.
Tutto è iniziato, come abbiamo visto sopra, con delle sommosse popolari della “primavera araba”. In Yemen, il governo ha dovuto contrastare non solo l’opposizione con il Partito Socialista Yemenita, la Congregazione Yemenita per la Riforma (conosciuta anche come Al-Islah), il Movimento per lo Yemen del Sud (che rivendica l’indipendenza dello Yemen meridionale; non tutti sanno che lo Yemen fino al 1990 era diviso in due Stati: la Repubblica araba dello Yemen a Nord e la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen a Sud). Contro il governo dello Yemen si sono schierati anche gli Houthi.
Lo Yemen, oggi, si trova diviso in quattro zone: a Nord-Est il governo di Hadi, appoggiato dall’Occidente; a Sud si è costituito un governo di transizione per arrivare all’indipendenza della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (che sarà democratica, secondo i “canoni occidentali”, quanto lo è la Corea del Nord); ad Ovest, una grande fetta del territorio è sotto il regime degli Huthi. Non manca una breve striscia di territorio controllata da Al-Qaida, che appoggia il governo di Hadi.
Gli Houthi sono un gruppo armato il cui motto è: “Allah è sommo, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli Ebrei, vittoria per l’Islam”. Il nome di questa organizzazione non è un acronimo (al contrario di Hamas: Harakat al-Muqawama al-Islamiyya, cioè: “Movimento islamico di Resistenza”), ma è semplicemente il nome del primo esponente: Husayn Badr al-Din al-Huthi.
Gli Houthi hanno l’appoggio dell’Iran, della Siria, della Corea del Nord, della Russia e di Hezbollah. Fino al 2011 anche della Libia. Comunque, di sicuro non sono campioni dei diritti umani, quindi, non dobbiamo pensare che il loro fine sia quello di rovesciare il governo legittimo dello Yemen per garantire i diritti umani o per instaurare una vera democrazia. Lo scopo degli Huthi è quello di creare un emirato socialista nello Yemen, come le sue alleanze suggeriscono.
Da qualche settimana, gli Houthi, che appoggiano Hamas per la distruzione di Israele e lo sterminio degli Ebrei presenti nell’area, hanno deciso di avviare un’escalation attaccando con droni navi commerciali e militari, anche quelle degli Stati Uniti. Una strategia pericolosa consentita dal fatto che gli Huthi controllano lo stretto di Bab el-Mandeb. Uno degli stretti più importanti per il commercio internazionale, insieme al Canale di Suez un po’ più a Nord, per il quale, nel 202o, sono passate in media quasi 50 navi al giorno (18.500 l’anno).
Molte navi, per evitare di essere danneggiate dagli attacchi di questi terroristi, hanno deciso di ripiegare e di tornare a circumnavigare l’Africa come si faceva all’epoca delle esplorazioni di trecento/quattrocento anni fa. Il Paese che soffrirà di più è proprio l’Italia, il Ministro Crosetto avverte: “Rischiamo di trovarci con i porti deserti”, anche perché le navi che circumnavigano il continente africano non entrano nel Mediterraneo, ma allungano fino ai porti dell’Europa settentrionale.
L’Unione europea ha risposto con l’Operazione Aspides (“aspides” è una parola greca che si traduce con “scudi”), la Germania, il Belgio e la Grecia hanno mandato una fregata a testa, l’Italia ha spedito il cacciatorpediniere lanciamissili Caio Duilio. Il costo dell’operazione si aggira attorno agli 8 milioni di euro, che sono niente in confronto a quello che potrebbe costare all’Occidente il non rendere sicura l’area per il passaggio delle navi mercantili. Adesso si spera che i Paesi dell’Unione si sveglino e si sbrighino ad andare avanti col processo di integrazione europea, facendo il passo successivo, quindi, con la formazione di un esercito europeo, che non deve necessariamente sostituirsi agli eserciti degli Stati, ma aggiungersi a questi per rendere l’Unione più autorevole agli occhi del mondo.
(22 marzo 2024)
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