di Matteo Marra
Le elezioni legislative in Francia non hanno visto il prevalere di nessuna delle tre grandi coalizioni, smentendo le previsioni di vittoria della destra, che gli analisti avevano effettuato sulla base del risultato francese delle elezioni europee, senza considerare il fatto che il sistema elettorale del Parlamento europeo è, però, proporzionale, mentre quello per eleggere l’Assemblea Nazionale francese è di tipo maggioritario, uninominale a doppio turno.
Oggi, l’Assemblea Nazionale (la camera bassa del Parlamento francese) ha ben 12 gruppi parlamentari e si sta rivelando estremamente complicato formare una maggioranza di Governo. A sinistra, vi sono coloro che fanno pressioni su Macron, che resta Presidente della Repubblica, per formare un Governo guidato dalla sinistra; primo fra tutti, Jean-Luc Mélenchon, che si è intestato la “vittoria” della sinistra alle elezioni ed ha lanciato online una raccolta firme per chiedere le dimissioni di Macron, accusato, sostanzialmente, di non osservare le regole della democrazia.
In linea generale, è giusto dirlo, Mélenchon non ha tutti i torti nel rivolgere questa accusa. Il problema, però, non è Macron, ma è la Costituzione francese ad essere poco democratica; infatti, non esiste un termine entro il quale il Presidente della Repubblica deve nominare il nuovo Primo Ministro. Questo spiega il motivo per cui il Partito Socialista ha dichiarato che non voterà la mozione per destituire il Presidente della Repubblica che Mélenchon intende presentare dopo la raccolta firme. In questa fase, l’unico strumento a disposizione del Parlamento per accelerare il procedimento di formazione del nuovo Governo sarebbe quello di presentare una mozione di fiducia e sfiduciare il Primo Ministro. Il problema è che Gabriel Attal, il Primo Ministro, ha già presentato le proprie dimissioni ed è stato incaricato, com’è consuetudine nelle democrazie, di curare gli affari correnti, cioè di assicurare alla Francia un Governo per garantire il funzionamento della Cosa Pubblica, mentre si forma un nuovo Governo, che dovrebbe essere presieduto da Barnier.
Si è detto che nessuno dei tre schieramenti ha veramente vinto le elezioni. La coalizione di sinistra è certamente arrivata prima con 193 seggi; seguono il centro di Macron con 166 seggi, la destra radicale di Marine Le Pen con 142 seggi, poi i Repubblicani (moderati di destra) con 47 seggi e, infine, i regionalisti con 22 seggi. Come si diceva anche prima, i gruppi parlamentari sono numerosi (ben 12) e non seguono tutti la stessa linea politica e, da ciò, deriva che sbagliano coloro che svolgono le loro analisi sulle coalizioni, che sono estremamente eterogenee. La coalizione di sinistra si compone di quattro gruppi parlamentari: La Francia Indomita di Mélenchon (72 seggi); il Partito Socialista, guidato da Olivier Faure (66 seggi); gli Ecologisti, guidati da Marine Tondelier (38 seggi); e, infine, la Sinistra Democratica e Repubblicana, che è, in realtà, un gruppo di partiti comunisti, con 17 seggi. Nella coalizione di destra, troviamo il Rassemblement National (la cui traduzione, terribile da sentire in italiano, sarebbe “Raduno/Assembramento/Consolidamento Nazionale”) di Marine Le Pen, che ha ottenuto 126 seggi; poi, A Destra! di Éric Ciotti con 16 seggi.
In Francia, il Governo non deve avere la fiducia del Parlamento, è il cosiddetto principio del parlamentarismo negativo, cioè il Governo regge finché non ha una maggioranza contro. Tuttavia, è consuetudine che il Primo Ministro nominato dal Presidente della Repubblica si presenti in Assemblea Nazionale per pronunciare una “dichiarazione di politica generale”, in cui è esposto il programma di Governo. Il 5 settembre, Macron ha nominato Primo Ministro un certo Michel Barnier, esponente dei Repubblicani e più volte commissario europeo.
Barnier, formalmente già Primo Ministro, sembra essere l’unico in grado di formare un Governo, sopravvivendo al voto di sfiducia già promesso dalla sinistra, incluso il Partito Socialista, il gruppo più moderato della coalizione. Chi scrive ha il sospetto, da quando Macron ha rifiutato di formare un Governo Castets (contraria alla discussa riforma macroniana delle pensioni) con la sinistra, che il caro Presidente della Repubblica abbia concluso un accordo con il Rassemblement National per avere almeno l’astensione dell’estrema destra nella mozione di sfiducia, se non addirittura qualcosa di più, come la nomina di Barnier, esponente molto conservatore della politica francese, sembra suggerire: non è da escludere addirittura una partecipazione al Governo, che, in tal caso, assicurerebbe a Barnier, in alternativa ad un Governo di minoranza, una maggioranza parlamentare che sarebbe in grado di trainare la Francia fuori dalla crisi politica da cui è, ora, dilaniata (e sì, diciamolo, il Rassemblement National, talmente patriottico da non avere traduzione in italiano, ma, allo stesso tempo, disposto a vendere la propria politica alla Russia di Putin, potrebbe rifarsi un po’ il look, magari i suoi esponenti potrebbero passare per salvatori della Patria).
Ecco come funziona il sistema elettorale maggioritario (o meglio, il “cancro” che divora da dentro le democrazie), che dovrebbe garantire la governabilità, secondo quanto dichiarato dai suoi sostenitori; invece, il maggioritario tende a radicalizzare gli elettori, ad obbligare i partiti ad unirsi in coalizioni improponibili al solo scopo di sopraffare l’avversario politico, trasformato in nemico da eliminare. Non è un caso se proprio in Francia, dopo le elezioni, diverse personalità, anche politiche, hanno iniziato a parlare della necessità di riformare la legge elettorale per introdurre il proporzionale.
Chissà se la crisi politica e costituzionale francese farà riflettere chi, in Italia, continua non solo a sostenere il sistema maggioritario, ma a parlare del suo potenziamento attraverso una riforma costituzionale talmente problematica da sperare che sia solamente ignoranza del diritto costituzionale. Ma del premierato abbiamo già avuto modo di parlarne, più volte, su questa testata.
(19 settembre 2024)
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