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Appendino scrive a La Stampa: Io sono “Quella Brava”, il resto è colpa di Fassino

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di G.G., #Torino

 

 

Il quotidiano La Stampa ha pubblicato lo scorso 7 ottobre un articolo molto documentato sui disastri di “Quella Brava”, articolo che era stato ripreso in parte da quello che il prestigioso quotidiano torinese chiama “Dossier Torino” e che vive il suo “la” con la valutazione al ribasso dell’agenzia Fitch, con la quale durante l’estate il Comune ha rotto il contratto, che ha rivisto al ribasso l’outlook da stabile a negativo con il rating (BBB) confermato. Secondo il dossier elaborato dal quotidiano colpa del rating negativo sono le incertezze che avvolgono la situazione dei conti, soprattutto rispetto “al contenimento della spese, al perdurare della stagnazione e alle scarse performance nella riscossione di tasse e tariffe”.

La Sindaca Appendino ha affidato la sua risposta ad una lettera al quotidiano torinese con la quale si espone al ridicolo cittadino cercando di agire contro quella che chiama la “narrazione sul declino della città”, ma che narrazione non è.

 

Gentile Direttore,
le scrivo non solo come sindaca di Torino ma anche e soprattutto come torinese. Come orgogliosa cittadina di quella che è stata la prima capitale d’Italia, faro dello sviluppo dell’intero Paese e luogo di patrimoni culturali, storici e artistici. 

In ogni mio intervento, l’ho ribadito più volte, amo affidarmi ai dati più che alle opinioni, e questa occasione non farà eccezione. 

Nell’articolo pubblicato ieri su queste pagine a firma di un vostro editorialista si legge di una presunta città «in declino». Tra i simboli del declino narrato senza alcun dato a supporto vi sarebbe un calo del turismo, eppure l’occupazione delle camere d’albergo a settembre si è assestata a un +8,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. 

Si ventila poi un clima allarmistico dell’industria locale che da sempre si distingue nei settori automotive, aerospazio, telecomunicazioni, bio-medicale, enogastronomico e non solo. 

Chiariamo subito che Torino è una città che ha sofferto la crisi più di altre e in cui le imprese hanno pagato un prezzo enorme. 

Eppure – pur in un quadro di crisi globale – secondo la consueta indagine trimestrale dell’Unione Industriale tutti i principali indicatori sono finalmente positivi e lasciano intravedere un rilancio produttivo su basi solide. 

La strada da fare è ancora lunga ma sono segnali di cui va tenuto conto. 

Credo sia anche importante sottolineare che questa narrazione di declino non solo non rende giustizia ma rischia di danneggiare eccellenze della nostra città come, ad esempio, l’Università e il Politecnico. 

Tutto ciò, ci tengo a sottolinearlo, è merito dell’intera comunità. Di una Torino ricca di inventiva e laboriosità, che vede come protagonisti tutte le istituzioni, le aziende, le realtà sociali e i cittadini. 

Anche sulla cultura e gli eventi, nonostante la scarsità di risorse, Torino ha ancora molto da dire. Senza scomodare il successo dell’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro (di cui a più riprese si era celebrata la dipartita verso Milano) potrei raccontarle dei tanti eventi e delle tante mostre che animano la città, in centro e in periferia. Mi vengono in mente la mostra di Miró appena inaugurata, le finali dei mondiali di volley che si disputeranno l’anno prossimo e la scelta di Torino come attuale capitale mondiale del design. Mentre, sempre per tornare ai dati, proprio sulle vostre pagine avete pubblicato i numeri del successo dei musei in una Torino di Ferragosto, nonostante in molti la raccontassero come «deserta». 

Vorrei però concentrarmi ora sulla «visione» alla quale è affezionato l’editorialista, per cui Torino sarebbe avviata volutamente verso il declino. 

Noi ci siamo presentati alle elezioni, ormai un anno e mezzo fa, con un’idea di città molto precisa. Pur senza negare le insindacabili ricchezze del nostro territorio, abbiamo proposto ai cittadini un modello di città alternativo. 

Siamo tornati a lavorare seriamente per una città che sia pronta ad essere teatro di un nuovo sviluppo industriale moderno e al passo con i tempi, che sappia cogliere le sfide dell’industria 4.0. 

Questo modello è l’unica strada possibile per restituire risorse al territorio, attrarre cervelli, mantenere quelli che ci sono, intercettare investimenti e creare lavoro. 

Abbiamo poi riconosciuto il turismo come risorsa importante, ponendo molta attenzione a un turismo che sia sostenibile, rivolgendoci anche a nicchie con interessi diversificati. 

Ancora, vogliamo rendere Torino una città più sostenibile dal punto di vista della mobilità e dell’ambiente, perché siamo convinti che sia nostro dovere lasciare a chi verrà dopo di noi una città migliore di come l’abbiamo trovata. 

Per questo motivo abbiamo dato un’importante spinta alla mobilità ciclabile. Il tutto si aggiunge all’avvio della progettazione della Metro 2, alla revisione della tariffazione dei mezzi pubblici, all’inaugurazione di 20 nuovi bus elettrici e all’installazione di colonnine per la ricarica elettrica delle auto, delle biciclette e delle carrozzine per disabili. 

Mi creda, non vorrei fare qui un mero elenco delle cose fatte. Non credo sia questo il punto e i lettori potranno facilmente trovare in rete tutte le informazioni. 

Ciò che voglio fare con fermezza è difendere Torino, i suoi valori, le sue eccellenze e ciò che rappresenta. Voglio difendere Torino anche per le tante cose che ci sono ancora da fare. Penso alle situazioni dell’ex Moi e del campo nomadi di via Germagnano, per fare due esempi, alle quali dopo anni di attesa stiamo lavorando. Penso all’alto tasso di disoccupazione. Penso al disagio delle periferie. Penso al decoro e alla sicurezza. Penso ai tanti cittadini che ogni giorno si rivolgono ai nostri servizi sociali. 

Parlo con questi cittadini ogni giorno, e ogni giorno trovo nelle persone non rassegnazione, bensì la voglia di superare le difficoltà; nonostante una crisi che la nostra città forse ha patito più di altre. 

Oggi ci troviamo a dover sanare delle situazioni difficili che si sono radicate in anni e anni di rimandi. Insieme alla Giunta e alla maggioranza ci siamo trovati davanti a un bivio impegnativo per i conti di Torino, la scelta tra piano di rientro e predissesto. Abbiamo fatto una scelta di responsabilità e coraggio optando per il piano di rientro, che mette l’interesse della città davanti alla ricerca del consenso. Una decisione che è innanzitutto per il futuro di questa città, con cui avremo ancora dei margini per portare avanti la nostra visione. 

Torino è capace di reagire alle difficoltà. Torino non ha bisogno di rincorrere nessuno. Torino è Torino, lo è sempre stata e lo sarà sempre. Con i suoi valori, le sue bellezze, le sue ricchezze, la sua storia e le tante cose su cui sarà necessario lavorare duramente, con la collaborazione di tutte le istituzioni, delle realtà del territorio e dei cittadini

 

Il proclama di Appendino si esaurisce con un bell’endorsement alla sua Torino, che l’ha eletta inconsapevolmente ed ora inconsapevolmente si lamenta, e racconta in poche parole di essere “Quella Brava”, di avere fatto miracoli per Torino. Ma la percezione che si ha della città è quella che parla di un immobilismo agghiacciante, di idee poche e confuse (è per rispetto della privacy e della professionalità di pochi e non dell’ignoranza di molti degli addetti stampa del Comune, che non pubblichiamo alcuni tra i molti comunicati demenziali che riceviamo quotidianamente e che celebrano “la bravura del M5S” anziché informare) e di tutto ciò che a Torino di negativo è successo. Non vorremmo essere noi a parlare ancora del 3 giugno scorso dato che Appendino “quella brava” che era a Cardiff non ne fa cenno. La Sindaca affida quindi alla propaganda, nella quale è maestra, l’idea della Torino che ha venduto per vincere le elezioni e che è reale soltanto dentro la sua testa di ex esponenti di Sel convertita al M5S perché sentiva odore di poltrona disponibile. La Torino economica della quale Appendino delira esiste, è reale, ma manca un aspetto nella “narrazione della Sindaca a 5Stelle” che La Stampa riporta con una chiarezza che ha tutta l’aria di una sberla.

 

(…) È vero che il peggio sembra alle spalle: secondo l’ultima trimestrale dell’Unione industriale gli indicatori su produzione e ordini sono positivi, gli investimenti in crescita e l’utilizzo degli impianti vicino al massimo storico del 1988. L’export è in salute, Torino è seconda solo a Milano ma la distanza si sta riducendo: nel 2008 le esportazioni torinesi erano il 43% di quelle milanesi, nel 2016 erano il 55%. Eppure il tessuto continua a perdere colpi: le imprese registrate al 31 dicembre 2016 erano 223.307, mai così poche dal 2003. Delle quattordici aree metropolitane italiane solo Messina ha vissuto una morìa di proporzioni analoghe (…)

 

Di questo aspetto irrilevante [sic] Appendino non fa cenno. Magnifica i successi del Salone del Libro,ma non fa menzione di avere distrutto con la complicità del suo assessore ex-presidente di Arcigay, al quale speriamo qualcuno chieda conto del misfatto, il Festival di Cinema Omosessuale più importante del mondo portandolo al livello più basso della sua lunghissima e prestigiosa storia con una programmazione imbarazzante ed il pubblico che ha preferito fare altro piuttosto che pagare salati biglietti per una insipida programmazione; per quanto riguarda poi l’occupazione, argomento che Appendino “Quella Brava” si guarda bene dall’affrontare con il dovuto piglio, ci pensa ancora La Stampa a sciorinare i dati.

 

(…) Una città del Nord, con eccellenze uniche e forse irripetibili, ma con una struttura socio-economica e dinamiche che somigliano spesso a quelle del Sud: ecco come appare Torino. Solo nei capoluoghi di regione meridionali si rintracciano livelli di disoccupazione più alti (12,3% per gli uomini e 12,8% per le donne). E da nessuna parte si riproduce il paradosso anagrafico: è tra le più vecchie (e invecchiate) città europee, eppure fatica a dare lavoro ai giovani. Il 40,8% dei ragazzi con meno di 25 anni non lavora, percentuale che colloca Torino appena sopra Napoli, Palermo, Catania e Messina (…)

 

Appendino è poi stata molto indulgente con sé stessa: ha dimenticato innovazioni straordinarie come quella lessicale che impone termini al femminile sui documenti ufficiali, innovazione della quale Torino sentiva il bisogno; ha dimenticato di parlare della sua santa allenza con Luigi Di Maio contro la TAV, e non ha citato i possibili danni collaterali, non solo d’immagine; Appendino ha dimenticato anche di parlare della questione Metro 2 più approfonditamente così come avrebbe dovuto accennare al piano dei trasporti di Torino, qui c’è qualche informazione; ha quindi dimenticato di parlare della Guardia di Finanza in Comune, che non dev’esserci andata in gita o della revoca dei P.R.U.S.A.; per quanto poi riguarda la mobilità un sacco di promesse e fatti quasi nulla. Eravamo alla conferenza stampa e ne abbiamo parlato qui.

Così che tocca ricordare che saranno i prossimi mesi, al di là dei proclami di Appendino, a dare il voto a “Quella Brava”. Per ora basti il commento di Castellani, il sindaco che fu il vero artefice della “rinascita torinese” che è lapidario: “Appendino governa come un amministratrice di condominio”… Ma la colpa è di Fassino e del PD.

Va poi chiarito, è necessario, che nel corso della sua difesa di se stessa Chiara Appendino non ha specificato se la sua lettera si riferisce a Chiara Appendino Sindaca di Torino o a Chiara Appendino Sindaca Metropolitana di Torino. Cariche che fanno spesso a pugni tra loro.

 





(8 ottobre 2017)

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